La gelosia rivisitata

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 22 aprile 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: SAGGIO BREVE/DISCUSSIONE]

 

Introduzione. Uno stato funzionale cerebrale che influenza il fondo inferenziale delle interpretazioni. Questa definizione operativa della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia per descrivere la gelosia come oggetto da indagare in chiave neurobiologica, esprime in sintesi il punto di arrivo delle nostre riflessioni sviluppate in termini psicologici e l’obiettivo di un futuro programma di ricerca sulle basi di questo stato fisiologico, che incide qualitativamente sui processi che determinano l’interpretazione della realtà dei fatti vissuti.

La gelosia, a rigore terminologico, è l’invidia dell’amore e, stando al registro letterario che influenza da qualche secolo il senso comune, si comprendono queste definizioni che ne danno il Vocabolario Treccani e il Dizionario Enciclopedico Sansoni (DES): stato emotivo di dubbio e di tormentosa ansia di chi, con o senza giustificato motivo, teme o constata che la persona amata gli sia insidiata da un rivale (Treccani); sentimento tormentoso, passione di chi pensa, a ragione o a torto, che altri abbia conseguito l’affetto o l’amore della persona amata (Sansoni).

Per la verità, il meno blasonato DES, noto più ai Fiorentini che alla totalità degli Italiani, coglie un nodo cruciale nello studio psicologico della gelosia e, anche se l’espressione “stato emotivo” di Treccani è più in linea col profilo della reazione esaminata negli studi dell’ultimo secolo rispetto al vocabolo “sentimento”, la specifica essenza dello stato psichico non è data dal fastidio per l’insidia di altri alla persona amata, ma dal dubbio o dalla certezza circa il corrispondere un sentimento legato al desiderio, da parte della persona amata[1].

La reazione di gelosia evocata nel rapporto di coppia è stata tradizionalmente accostata ai resoconti e alle analisi dei deliri di gelosia di psicotici, alcolisti e tossicodipendenti, perché la maggior parte degli studi psicologici è stata condotta da psichiatri, e anche perché, per varie ragioni culturali, si tendeva e si tende a considerare patologica o al “limite del patologico” qualsiasi manifestazione intensa di gelosia, in molti casi subendo l’influenza della sottocultura di massa mediatica che confonde il provare il sentimento con il compiere atti aggressivi o criminosi. La tradizione culturalmente più nobile è costituita dall’applicazione dei principi della psicoanalisi alla lettura dei presunti processi psichici alla base di comportamenti di personaggi famosi della cultura antica, della letteratura e del teatro, primo fra tutti l’Otello di Shakespeare.

Le interpretazioni psicoanalitiche più suggestive e di maggior seguito, come quella di Jacques Lacan che la attribuiva a una ribellione alla richiesta inconscia di identificazione col desiderio del partner rivolto a un’altra persona, si sono insegnate per generazioni.

La gelosia, d’altra parte, compariva già nell’interpretazione del significato di un sogno di un’amica di Freud passata alla storia della psicoanalisi come “la bella macellaia”, che un giorno raccontò al padre della psicodinamica un sogno in contrasto con la sua tesi secondo cui tutti i sogni sarebbero realizzazioni di desideri, perché il suo desiderio rimaneva frustrato nella trama onirica. In breve, ecco il sogno: la macellaia deve offrire una cena ma in casa non le resta che una fetta di salmone affumicato, allora esce per fare la spesa, ma è domenica e tutti sono chiusi, per giunta ha il telefono guasto e non può rimediare in nessun altro modo, così vi rinuncia. Questa non è certo la realizzazione di un desiderio, dirà l’amica a Freud che, sulle prime, le dà ragione, ma poi le spiega che le ragioni del significato non manifesto del sogno si possono ritracciare attraverso i fatti dei giorni precedenti. Così la bella macellaia racconta di aver fatto visita a una amica che la fa molto ingelosire perché il marito la guarda un po’ troppo, e in genere lei si rassicura pensando che al marito piacciono le donne formose, bene in carne, mentre quest’amica è magrissima. Ma l’amica, che vorrebbe tanto ingrassare, le ha chiesto: “Quando ci inviterete di nuovo? Si mangia sempre così bene da voi…”.

E così Freud conclude che il desiderio inconscio, dettato dalla gelosia, è proprio che non vi sia la cena, che farebbe mettere su carne all’amica rendendola rivale pericolosa.

Le ragioni principali per cui la ratio psicoanalitica è stata abbandonata sono tre: 1) le pur ragionevoli interpretazioni non possono essere provate o confutate attraverso una procedura di verifica obiettiva; 2) pur ammettendo che lo sviluppo dei processi psichici avvenga in una dimensione inconscia simile a quella concepita dalla psicoanalisi e possa seguire vie logiche molto simili a quelle dei nostri contenuti ideativi (anche se a volte sono presentate come il loro contrario o inverso speculare), questo tipo di descrizione non attinge il livello della genesi dei processi e delle reazioni affettivo-emotive alla base dei sentimenti; 3) le basi neurobiologiche e neurofisiologiche dei processi psichici, anche se sono ancora schematiche e in una fase iniziale di decodifica della loro complessa organizzazione cerebrale, consentono di arrivare a un livello di comprensione più di base, universale e verificabile mediante rilievi strumentali.

 

La gelosia nell’esperienza comune attuale di persone non affette da disturbi psichici. Per avviare il nostro studio abbiamo deciso inizialmente di escludere la casistica psicopatologica, ripromettendoci di prenderla in esame per confronto dopo aver acquisito una migliore conoscenza della dimensione fisiologica dell’esperienza soggettiva di questo stato psichico affettivo, emozionale e, come vedremo più avanti, cognitivo. Abbiamo preso le mosse dalle sensazioni soggettive provate da persone in preda ad uno stato acuto di gelosia.

Ecco quattro descrizioni da noi registrate:

“È come se stessi vivendo uno stato paradossale, un assurdo, come se si stesse verificando qualcosa di già remotamente vissuto, una sorta di incubo che si materializza”;

“È come se si accendesse una luce improvvisa nel fondo della coscienza, che mi fa vedere tutte le cose nel loro reale significato di tradimento; una luce che rivela l’inganno di una vita sentimentale finta, in cui nulla era vero”;

“È uno stato intollerabile, insostenibile, in cui ti senti di scoppiare, dal quale non puoi uscire, perché non dipende da te… e sai che l’unico modo per uscirne è uscire dalla posizione affettiva, smettere di amare… per non soffrire; ma quando la reciprocità dell’amore è stata così intensa da non aver pensato mai, nemmeno per un istante, che potesse finire, la rottura del rapporto sarebbe ancora più dolorosa…”;

“Io sono sempre stata gelosa, lo sono di natura, lo dichiaro nei miei rapporti di coppia; qualche volta sono stata lasciata per la mia eccessiva possessività, ma sono grata alla gelosia perché mi apre gli occhi che l’innamoramento mi chiude: quando ho sospettato per gelosia un tradimento, ho sempre avuto ragione. Quando mi prende la gelosia divento sospettosa, permalosa, esigente e perdo il rispetto per il ragazzo. Involontariamente così lo metto alla prova… si litiga per un nonnulla, fino a quando ci si lascia. Cosa provo? Risentimento, rabbia, odio, disprezzo… no, niente paura, delusione e simili… La gelosia è sentire di non essere l’unico desiderio di chi ami e risentirti per l’affronto…, anche se il poveraccio non è colpevole!”

 

La prima descrizione è efficacemente focalizzata sull’autocoscienza di uno stato di profondo disagio del soggetto, in contrasto con la ragione interiore dell’equilibrio.

La seconda rappresenta la comparsa nella coscienza di un’attività mentale improvvisa e intensa di interpretazione della realtà, vissuta come una funzione rivelatrice che illumina di senso, e svela il valore ingannevole dell’esperienza affettiva e vitale[2].

Le autrici delle altre due descrizioni sono due donne. La prima rende conto del vissuto di uno stato acuto di gelosia che investe tutto lo psichismo ed è percepito come una condizione insopportabile, verosimilmente per la tensione estrema generata da sistemi neuronici in conflitto. Conflitto funzionale che temporaneamente non si risolve, né a favore dell’esecutività aggressiva, né a favore dell’implosione depressiva. La seconda descrive psicologicamente sé stessa in modo intuitivo e in funzione del sentimento della gelosia, alla fine tentando anche una definizione di questo stato affettivo.

Questo “microcampione” di quattro persone è di per sé privo di significatività statistica, ma è stato eletto da noi per valore emblematico, in quanto estratto da numerosissime dichiarazioni raccolte informalmente dai nostri soci, riconducibili tutte agli aspetti evidenziati da questi quattro piccoli brani, che sono sufficienti a illustrare la necessità di distinguere, nel generico concetto di gelosia, uno stato affettivo, che può evolvere in una condizione acuta di sofferenza distinguibile dalla generica sofferenza ansiosa, e uno stile ideativo e, dunque, di pensiero influenzato dal registro psichico complessivo[3].

Fra le peculiarità della gelosia c’è la sua origine, che possiamo individuare in termini psicologici nell’identificazione, sia pur parziale, necessaria al suo prodursi. Maggiore è l’identificazione con la persona che la suscita, tanto più alto è il grado di sofferenza a parità di rischio di perdita[4]. Un adagio popolare vuole che se c’è amore c’è gelosia; e questo è vero se per amore si intende un sentimento caratterizzato da un investimento affettivo legato a un nucleo profondo di identificazione. E, secondo la riflessione psicologica più recente che ha superato gli schemi interpretativi della psicoanalisi ma ha ereditato una parte del suo lessico, esisterebbe una differenza fra tipi di identificazione, con una peculiarità esclusiva per quella che si può sviluppare con il partner nella coppia.

Un’esperienza comune nella psichiatria e nella psicologia clinica dell’adolescenza è l’esistenza di ragazzi che tendono a investimenti affettivi intensi e identificativi anche nei rapporti più recenti e brevi e altri che, all’estremo opposto, sembrano rimanere affettivamente distanti anche nei rapporti di coppia esclusivi con intimità sentimentale e sessuale[5]. Questi opposti stili affettivi corrispondono a un’opposta tendenza nel provare gelosia: l’immaturità affettiva nel primo caso comporta investimenti identificativi indiscriminati, nel secondo l’incapacità di investimento empatico. Le due tendenze sono da alcuni ricercatori attribuite prevalentemente al sostrato neurobiologico, da altri agli effetti epigenetici e ambientali studiati come apprendimento.

 

Otello, ovvero come la gelosia possa essere evocata da falsità e suggestioni. La gelosia è un sentimento e/o uno stato affettivo e, in quanto tale, può essere evocato. Nell’evocazione l’adeguatezza dello stimolo – come si dice nel lessico della fisiologia della percezione – può surrogare la realtà dell’esperienza.

Consideriamo alcuni aspetti del più celebre “dramma della gelosia”, la tragedia del Moro di Venezia, ossia l’Otello di Shakespeare, in particolare nella sua costruzione e nelle parole che ci rivelano elementi propri di questo stato mentale, che evidentemente il celeberrimo autore aveva conosciuto per personale esperienza.

I personaggi principali sono a tutti noti: Otello, un valoroso generale di colore al servizio di Venezia che ha sposato la bellissima e candida veneziana Desdemona[6], Iago, alfiere di Otello definito nel primo manoscritto del copione “tipico mascalzone italiano” e poi, più semplicemente, “canaglia” e, infine, Cassio, il luogotenente di Otello.

La storia del “Moro di Venezia e della bellissima Disdemona[7]” è di Giovanni Battista Giraldi, un letterato italiano di Ferrara detto “Cinzio” in Accademia, che la include nel suo Ecatommiti, una raccolta di 113 novelle narrate da una brigata di ragazze e ragazzi rifugiati dopo essere sfuggiti all’invasione distruttiva nota come Sacco di Roma (1527). Shakespeare apporta delle modifiche perché la gelosia fosse assoluta protagonista della psicologia dei personaggi. L’Alfiere della novella italiana è descritto come bellissimo giovane marito dell’unica amica di Disdemona, l’alfiere shakespeariano Iago sospetta la propria moglie di averlo tradito sia con Otello che con Cassio, e questa sua gelosia sarà all’origine del piano ideato per fare ingelosire Otello. L’Alfiere di Giraldi è il diretto superiore di Cassio, invece Iago è invidioso e poi geloso per la promozione a luogotenente ottenuta da Cassio[8].

Iago – e, dunque, Shakespeare stesso – conosce l’ideazione tipica dello stato affettivo della gelosia e soprattutto sa che quella dimensione mentale deve essere evocata attraverso un gioco di suggestioni di realtà e un effetto di verità[9]. Dopo aver fatto il misterioso con Otello circa i propri pensieri e aver ribadito che sicuramente si sbaglia in ciò che pensa, suggerendo in questo modo ad Otello la prima fase dell’entrata nella dimensione psicologica della gelosia, ossia il sospetto dettato da circostanze reali, che potrebbero indicare qualcosa di nascosto, con le sue parole suggerisce ad Otello di pensare: io non sono geloso, tuttavia vi sono questi fatti reali che chiedono una spiegazione.

Iago, fingendo di mettere in guardia Otello dal cedere alla gelosia, dice a lui e al pubblico qual mostro ritiene che sia questo stato d’animo: “Guardatevi dalla gelosia signore. È un mostro dagli occhi verdi, che prima si diverte a giocare col cibo di cui si nutre. Beato quel becco che sa di esserlo e non ama colei che lo tradisce! Ma che vita dannata quella di chi ama e cova il dubbio di chi sospetta e spasima d’amore![10][11]

Otello risponde: “Che angoscia!”. Allora Iago usa una similitudine per enfatizzare la differenza di stato d’animo tra chi è sereno e chi è geloso: chi è povero ma contento, è come fosse ricco, e ricco in modo soddisfacente; ma chi è molto ricco e teme di diventare povero, è povero come l’inverno. Poi conclude: “Buon Dio, salva dalla gelosia tutti quelli che mi sono cari!”[12]

Quando l’alfiere è certo che il Moro di Venezia non lo sospetti di fare ciò che in realtà sta facendo, provvede a fabbricare una prova falsa del tradimento, impadronendosi di un fazzoletto[13] caduto a Desdemona e raccolto da sua moglie Emilia, per farlo trovare a Otello in camera di Cassio.

È rilevante notare che, oltre ad assumere la bias interpretativa che lo porta a considerare i segni e i fatti a lui riferiti ad arte solo in funzione della tesi preconcetta della colpevolezza, Otello, nella sua mente, ha privato Desdemona della sua reale identità affettiva propria della persona con la quale si è nella massima intimità, confidenza e condivisione, per relegarla al ruolo di estranea nemica.

 

Caratteristiche della cognizione nello stato affettivo-emotivo della gelosia. In quanto sentimento e/o stato affettivo, la condizione di gelosia è evocabile. E ciò vuol dire che è più importante che l’evocatore costituisca – prendendo a prestito il lessico della fisiologia della percezione – uno stimolo adeguato, piuttosto che abbia razionalmente i requisiti di fondatezza e plausibilità.

Quindi, sebbene l’aspetto dell’elaborazione cognitiva e della stessa tendenza della persona gelosa a sviluppare ragionamenti susciti particolare interesse, non bisogna perdere di vista la natura reattiva e prevalentemente affettiva di questa esperienza psichica. Come reazione si ritiene sia presente alla nascita, ossia tutti noi abbiamo la potenzialità congenita di provare gelosia. In proposito, al nostro Seminario sull’Arte del Vivere, è stato discusso un argomento classico della psicologia dell’infanzia, collegato alla prematurazione specifica[14] e allo stadio dello specchio[15], la cui prima traccia viene fatta risalire alle Confessioni di Sant’Agostino e riguarda le reazioni affettive precoci: “…il pallore cattivo di un bambino che guarda il suo fratello di latte, è la peggiore e la più bella espressione della gelosia”[16].

Ma da adulti, quando si ha la mente pervasa dalla gelosia, si stabilisce un modo particolare di impiegare alcuni processi cognitivi e la logica deduttiva, in parte come abbiamo già visto in Otello.

Un aspetto peculiare, collegato a una forma di allerta o di vero e proprio allarme nel controllo della persona amata, è il sospetto.

La materia del sospetto è di fatto trattata come una certezza, per questo ogni elemento che giunge all’attenzione e al vaglio della persona gelosa è visto come un indizio, ma poi, nella pragmatica del ragionamento, è considerato alla stregua di una prova. Un indizio è una traccia soggetta a interpretazione, il cui significato dipende, appunto, da come questa traccia venga interpretata; se esistono più interpretazioni ragionevoli e plausibili della traccia, con significati fra loro divergenti, il suo senso rimane indeterminato. La prova, al contrario, costituisce un riscontro materiale o fattuale, che possiamo caratterizzare come evidente, oggettivo e inoppugnabile.

La convinzione prodotta dall’ideazione influenzata dallo stato di gelosia è come se determinasse l’assunzione stabile e definitiva di un nuovo registro per l’esame di realtà. Dopo aver assunto questa chiave di lettura per gli eventi presenti, il soggetto geloso la impiega retrospettivamente per rileggere ad uno ad uno tutti gli episodi rilevanti, oscuri, poco definiti o anche banali ma non graditi del suo rapporto con la persona amata. E può capitare che a volte abbia la sensazione di aver “finalmente capito”, ossia abbia quell’insight effect, quella suggestione intensa e acuta di aver realizzato per la prima volta un senso complessivo mai considerato in precedenza, o la sensazione di aver conosciuto e compreso qualcosa di importanza capitale.

Questa sensazione che si può caratterizzare come effetto di verità, effetto di rivelazione, sensazione di scoperta, è stata accostata a quello stato mentale dello psicotico che prende il nome di intuizione delirante, e che fa credere alla mente pervasa dal delirio di possedere una chiave interpretativa esclusiva o una verità ignota agli altri. Naturalmente sussiste una differenza in termini di distacco dalla sensazione e di autocoscienza nella persona sana e gelosa che, pur facendo esperienza di questo genere di effetti, non crede di essere improvvisamente investito di un potere psichico superiore.

L’aspetto che noi riteniamo più rilevante è l’influenza della gelosia sul fondo di informazione che in condizioni di serenità psicologica costituisce il patrimonio adottato automaticamente nelle inferenze interpretative. E proprio dal riconoscimento di questa alterazione che intendiamo prendere le mosse per un nuovo studio.

 

L’autrice della nota ringrazia il presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, per le integrazioni a un testo sviluppato in gran parte su una riflessione comune che ha attinto a sue relazioni al Seminario sull’Arte del Vivere.

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-22 aprile 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

________________________________________________________________________________

 

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 



[1] In queste distinzioni di sostanza concettuale e non di semplice valore semantico seguo il nostro presidente Giuseppe Perrella, la cui relazione introduttiva a questo studio al Seminario sull’Arte del Vivere, è sintetizzata in questo scritto.

[2] Ricorda, in un certo senso, l’insight dell’intuizione delirante.

[3] Questa formula descrittiva è di Giuseppe Perrella.

[4] Ma questa è ovviamente una ipersemplificazione – come ha giustamente osservato il nostro presidente – perché un fattore di modulazione di intensità spesso decisivo è dato dal profilo neurofunzionale attuale dell’individuo. Ossia dallo stile funzionale del cervello e della mente di ogni singola persona in quel dato periodo della vita, con tutte le influenze interne ed esterne cui ciascuno di noi è esposto.

[5] Questi sono gli estremi di una gamma in cui la parte intermedia assomiglia nell’affettività alla media delle età successive.

[6] Shakespeare gioca col simbolismo nero/bianco per bene/male ed Emilia dirà ad Otello, alla vista di Desdemona uccisa: “Era l’angelo più candido come voi siete il demonio più nero”. Si nota che Charles Marowitz, nel suo An Othello (1972), rifacimento antirazzista con personaggi di colore, propone la dicotomia tra Otello “negro integrato” e Iago “nero ribelle” esponente del movimento Black Power.

[7] Shakespeare si limita a mutare la “i” in “e” perché la pronuncia inglese del nome fosse più vicina a quella italiana. Dice Giraldi che Disdemona si innamora “tratta non da appetito donnesco, ma dalla virtù del Moro”.

[8] In questa esposizione focalizzata sulla gelosia sono stati esclusi tutti gli elementi non essenziali della trama e l’intreccio delle vicende creato da Shakespeare.

[9] La definizione e il senso dell’espressione effetto di verità sono del nostro presidente, che le ha impiegate nell’interpretazione dello stato soggettivo di intensa risposta affettivo-emotiva e di coscienza all’esperienza del vero.

[10] Nella traduzione letterale: “…Chi ama alla follia (dotes), tuttavia dubita; sospetta, tuttavia ama profondamente!”.

[11] Shakespeare, Otello III. III: 165-170, in “Il teatro completo di Shakespeare” (voll. I-IX), vol. IV: Le Tragedie, p. 407, “I Meridiani”, Mondadori, Milano 1976.

[12] Shakespeare, Otello III. III: 176, op. cit., idem.

[13] Il fazzoletto era stato donato da una maga egizia alla madre di Otello che, sul letto di morte, lo aveva consegnato al figlio, che poi lo aveva dato a Desdemona, come primo dono d’amore, con lo speciale valore affettivo che gli attribuiva.

[14] A differenza di quanto accade per la maggior parte dei mammiferi, il piccolo della specie umana nasce “prematurato” perché possa completare la maturazione dell’encefalo e delle sue funzioni nel rapporto con l’ambiente.

[15] La capacità umana molto precoce del lattante di riconoscersi allo specchio che, secondo alcune teorie, costituirebbe espressione di uno specifico stadio di sviluppo dell’autocoscienza.

[16] Sant’Agostino, Confessioni, cit. in Catherine Clément, Vita e leggenda di Jacques Lacan, p. 87, Laterza, Roma-Bari 1982.